L’immigrazione è uno dei temi più caldi nel dibattito politico. Molto controversi nel primo Governo Conte sono stati i due decreti sicurezza. Una delle condizioni per la formazione del Governo Conte bis da parte del centrosinistra è la loro abolizione, mentre il M5S vorrebbe limitarsi a intervenire sulle parti indicate non costituzionali dal Presidente Mattarella.

Un altro tema che si riapre con il nuovo governo è quello della riforma della legge sulla cittadinanza dei figli degli immigrati. La legge sul cosiddetto “ius soli” è naufragata nella precedente legislatura, prima del voto del 4 marzo 2018, non solo perché osteggiata dai partiti di destra, ma anche di timori nel centrosinistra di perdere consenso con l’approssimarsi delle elezioni. 

La questione torna oggi a porsi anche perché riformare la legge sulla cittadinanza rappresenterebbe uno dei più chiari segnali di discontinuità rispetto al Governo precedente e l’espressione di un nuovo approccio nei confronti di un tema comunque complesso e spinoso come quello dell’immigrazione.

Riproporre lo “Ius soli” potrebbe però non essere la soluzione migliore. Assegnare automaticamente la cittadinanza subito alla nascita presenta varie controindicazioni che hanno portato gran parte dei paesi, anche i più tolleranti, a non adottarlo (o ad averlo abbandonato).  E va anche considerato che l’idea di un tale automatismo, in una fase di forte preoccupazione dell’opinione pubblica sulla pressione migratoria, tende a suscitare timori e resistenze. Se l’idea di concedere la cittadinanza a chi è nato qui ed è già qui da anni, all’interno di un processo di integrazione della famiglia, è considerata largamente condivisa, più controversa è invece l’applicazione dell’automatismo a chiunque e in qualsiasi modo arrivi sul nostro suolo.

Più consenso potrebbe trovare invece lo “ius culturae”, proposta che sinora è rimasta in ombra rispetto allo “ius soli”. Lo Ius culturae condiziona la richiesta di cittadinanza all’aver superato almeno un ciclo scolastico. Ha alla base un principio che trova forte consenso nelle nuove generazioni, ovvero che ciò che si riconosce ad un giovane deve dipendere dal suo percorso e dal suo impegno, non tanto dalle caratteristiche dei genitori e dalla loro provenienza.

L’atteggiamento dei giovani verso tale proposta di legge è stato sondato all’interno di una indagine di approfondimento sul rapporto tra giovani e politica promossa dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e condotta da Ipsos ad aprile 2019. La rilevazione è stata realizzata su un campione rappresentativo su territorio nazionale relativamente alla fascia tra i 20 e i 34 anni. E’ stata condotta durante il Governo precedente e quindi non risente di un possibile cambiamento di clima sotto l’influsso del nuovo Governo.

Alla domanda “Lo Ius culturae prevede l’acquisizione del diritto di cittadinanza italiana per gli stranieri minorenni (nati in Italia o che vi abbiano fatto ingresso entro i 12 anni) e che abbiano frequentato regolarmente e con successo un percorso scolastico per almeno cinque anni nel territorio nazionale. Quanto sei d’accordo?” Oltre due intervistati su tre ha risposto “Molto” o “Abbastanza” d’accordo. Poco meno di uno su quattro ha riposto “Poco”, mentre chi ha un atteggiamento di completa chiusura è meno del 10 percento.

Le risposte degli intervistati

Le donne tendono ad avere un atteggiamento più positivo rispetto ai maschi. Tra i ventenni l’accordo coinvolge quasi tre giovani su quattro. Conta anche il titolo di studio, con maggiori resistenze ad estendere il diritto di cittadinanza ai figli degli stranieri da parte di chi ha meno risorse socioculturali. 

Alessandro Rosina, coordinatore scientifico della ricerca, afferma: “lo “Ius culturae” sembra partire da un ampio favore, ma chi lo propone deve cogliere la sfida di farlo diventare convincente anche rispetto a quel giovane su quattro che si dichiara “poco” favorevole e che può scivolare verso una ostilità se tale scelta fosse imposta dall’alto senza una campagna di informazione e un dibattito pubblico sul perché è utile rivedere la legge del 1992 sulla cittadinanza a favore di una crescita inclusiva del paese”.