Rita Bichi, docente di Sociologia generale, Università Cattolica e Mauro Migliavacca, ricercatore di Sociologia dei processi economici e del lavoro, Università degli Studi di Genova, riflettono sulle disuguaglianze presenti tra i giovanili in Italia.

Da diversi anni le analisi che indagano esiti e dinamiche connesse alla distribuzione della ricchezza mondiale evidenziano che il divario fra la quota di popolazione più ricca e quella più povera è in costante aumento e che ai più poveri spetta la parte più esigua dell’eventuale crescita.

L’Italia non è esente da queste dinamiche e l’onda lunga della crisi economica, aggravata dalla mancanza di risposte politiche efficaci e da una frattura generazionale irrisolta, ha peggiorato la situazione.

Essere giovani, in particolare, rappresenta un fattore penalizzante. Il lavoro manca e, anche quando c’è, è spesso di bassa qualità, spesso precario, tanto da rappresentare, quest’ultimo, la più diffusa porta di ingresso nel mercato del lavoro (nel 2018 il 76,3% delle prime attivazioni). Peraltro, nel corso dell’ultimo decennio i dati relativi alla continua crescita della disoccupazione giovanile e la crisi del sistema educativo ci collocano, a livello europeo, tra i paesi con il più basso numero di laureati e, al tempo stesso, come uno dei paesi con gli indici più alti di disoccupazione intellettuale.

Mancando il lavoro, manca il primo fattore di protezione: i giovani sono esposti a fenomeni di diseguaglianza, in particolare economica, mettendo sotto pressione le famiglie che rimangono il loro principale sostegno. Nel 2016, i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivevano in condizioni di povertà assoluta erano circa il 10% del totale; i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano (Neet) più di 2 milioni, concentrati maggiormente tra le donne e nelle regioni meridionali.

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