Palazzo Dolmabahçe, Instanbul [ph. Stefano Saldi]
Palazzo Dolmabahçe, Instanbul [ph. Stefano Saldi]

È appena rientrato da Istanbul, al momento vive a Ginevra, per il futuro sogna gli States. Le premesse per una carriera in giro per il mondo, insomma, ci sono tutte. Stefano Saldi è uno dei giovani laureati in Cattolica che attualmente fa parte della Missione Permanente della Santa Sede all’Onu, grazie al programma “Fellowship Program UNOG” promosso dall’Istituto Toniolo. In questa intervista, ci racconta la sua esperienza e il suo punto di vista sul mondo delle relazioni diplomatiche.

Perché hai scelto di intraprendere la carriera diplomatica? Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

Sono sempre stato affascinato dalla storia e dal mondo delle relazioni internazionali: da piccolo collezionavo monete e banconote provenienti da tutto il mondo, e forse proprio allora è iniziato tutto. In futuro, mi piacerebbe continuare a lavorare per la Missione della Santa Sede o comunque fermarmi a Ginevra. Vorrei entrare nell’Organizzazione Mondiale per il Commercio o nell’Organizzazione Internazionale del Lavoro… e magari un giorno diventare anche Direttore Generale!

C’è un’area del mondo alla quale ti senti particolarmente legato?

Durante la Laurea Magistrale in Cattolica ho avuto la possibilità di trascorrere un anno di studi negli Stati Uniti, in seguito ho trascorso un periodo a Vancouver, dove lavoravo presso la Camera di Commercio Italiana. Per tutti questi motivi mi sento molto legato al Nord America. Allo stesso tempo, l’Asia mi ha sempre affascinato per la sua grande ricchezza culturale, e non mi dispiacerebbe fare un’esperienza anche lì.

Nel tuo lavoro all’Onu ti sei specializzato su una tematica in particolare? Quale?

Gli incontri che mi hanno colpito di più sono stati le due Conferenze Internazionali del Lavoro. Ho visto una massiccia partecipazione di delegazioni composte da governi, datori di lavoro e lavoratori, in un clima di negoziazioni e discussioni molto serrato e intenso.

Puoi raccontarci della tua ultima esperienza a Istanbul?

Ho avuto l’onore di integrare la Delegazione della Santa Sede al Forum Globale su migrazione e sviluppo, che quest’anno si è tenuto a Istanbul dal 14 al 16 ottobre. Il Forum globale offre ai governi e alla società civile un’importante piattaforma di discussione e confronto su questi temi. In particolare, a Istanbul si è discusso circa le strategie per una maggiore cooperazione a livello internazionale nell’ambito delle migrazioni, soprattutto alla luce dei nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile adottati dalle Nazioni Unite.
A livello personale è stata un’esperienza indimenticabile: ho avuto occasione di parlare direttamente – e in via informale – con diplomatici di vari Paesi su temi come la Siria, la Libia e il Medio Oriente. Inoltre, ho avuto l’onore di conoscere personalmente il Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione, l’ambasciatore William Lacy Swing.

Negli ultimi tempi, in Turchia gli attentati terroristici si sono moltiplicati, la libertà di espressione nel Paese è gravemente compromessa, e a ciò si aggiunge la difficile gestione della crisi migratoria dovuta alla guerra in Siria. Hai avuto occasione di parlare con dei giovani del luogo? Come vivono questa situazione?

Non ho avuto modo di parlare direttamente con i ragazzi del posto, ma ho avuto la possibilità di visitare Istanbul per un paio di giorni e non ho potuto fare a meno di notare come i livelli di sicurezza fossero elevatissimi: la gente sembrava essercisi abituata, io sicuramente no. Un giorno, mentre visitavo l’imponente Moschea di Solimano il Magnifico, sono stato fermato da un giovane: era un ragazzo siriano, Ahmed, che mi ha raccontato di come la gente del suo Paese stia soffrendo in questo momento. Ad Aleppo, dove è nato, gestiva un piccolo negozio di libri, ma nel 2013 è dovuto fuggire e ha lasciato il Paese. Purtroppo Ahmed non è il solo; in Turchia ci sono attualmente circa due milioni di rifugiati, di cui la stragrande maggioranza proviene dalla Siria.

È ancora pensabile un’adesione della Turchia all’Unione Europea?

I negoziati Turchia-UE si protraggono ormai da molto tempo. Nei giorni in cui mi trovavo a Istanbul, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro turco Ahmet Davutoglu hanno tenuto un incontro bilaterale a Palazzo Dolmabahçe, dove Ataturk (padre fondatore della moderna Turchia) trascorse gli ultimi anni della sua vita. I due leader hanno raggiunto un accordo che tocca diversi punti: gli aiuti economici alla Turchia per il sostegno ai rifugiati siriani presenti sul suo territorio, i flussi migratori dalla Siria verso l’Europa, un’accelerazione nei negoziati in corso per facilitare la concessione di visti d’entrata nell’Unione Europea ai cittadini turchi. Nonostante ciò, sull’ingresso della Turchia nell’Unione Europea sussistono diverse problematiche che sembrano ancora lungi dall’essere risolte.

Cosa significa per te far parte della delegazione vaticana? In che modo la “componente” religiosa influisce sul tuo ruolo e le tue attività presso le Nazioni Unite?

È un grande onore, ma come tutti gli onori comporta anche un alto grado di responsabilità. La Santa Sede, infatti, riveste un ruolo importante in diversi negoziati, anche se spesso questo non è noto ai più.
La componente religiosa, invece, influisce ma fino a un certo punto. Alcuni delegati di altri Stati hanno una sorta di pregiudizio nei confronti della Santa Sede, ma la maggioranza spesso sottolinea l’importanza del suo sostegno “morale” nelle varie discussioni. Grazie alla competenza e popolarità di Papa Francesco, molti diplomatici (anche quelli non “cattolici”) spesso vengono a esprimere le loro congratulazioni per le parole del Santo Padre. Anche a Istanbul molte delegazioni si sono avvicinate alla nostra per rimarcare l’importanza della partecipazione attiva della Santa Sede sul tema delle migrazioni.

Qual è l’insegnamento più prezioso che ti resterà di questa tua esperienza presso la Missione della Santa Sede?

Ho capito che se si lavora tanto e nel modo giusto è davvero possibile contribuire alla realizzazione del bene comune dei popoli. L’opportunità di contribuire al perseguimento, presso le Nazioni Unite, di valori come la giustizia sociale per un vero sviluppo solidale dei popoli è sicuramente per me la gratificazione più preziosa.