Oggi molta dell’attenzione delle istituzioni del mercato del lavoro e in parte del mondo formativo è sulle competenze di tipo tecnico-specialistico, che ruotano principalmente intorno alla componente digitale applicata sia ai processi di produzione (meccatronica ad esempio) sia alle attività di progettazione degli stessi. Al contrario, quello delle competenze trasversali (soft skills) che possono consentire ai lavoratori un miglior approccio a scenari mutevoli e complessi è un tema che trova spazio nelle dichiarazioni di intenti ma meno nelle azioni concrete. Queste invece sono fondamentali.

Infatti ci troviamo in un clima di accelerazione tecnologica che fa sì che i programmi scolastici, finanche quelli universitari delle facoltà a più alto contenuto tecnico-scientifico, fatichino a stare al passo con i cambiamenti nei processi e nei prodotti. Tale differenziale di velocità rischia di consegnare al mercato del lavoro giovani iper-specializzati ma su contenuti già superati o che verranno superati in tempo breve. Questo avviene se la scuola e l’università vengono concepiti come una torre d’avorio impermeabile al mondo esterno, senza possibilità di contaminazione pratica oltre che teorica. Al contrario, vi sono metodi pedagogici e strumenti concreti ancor poco diffusi (alternanza, apprendistato, dottorati industriali) che consentono questa contaminazione favorendo un processo costante di aggiornamento sia del mondo formativo che delle imprese. Una delle sfide principali della Quarta rivoluzione industriale è proprio quella di abilitare a questi processi di permeabilità in modo da consentire una riduzione di quel differenziale che è un danno sia per i giovani che per le imprese

Per questa ragione un investimento sui propri interessi, sulle proprie attitudini e capacità è oggi fondamentale, anche più di quanto lo fosse in passato. La costruzione di una personalità matura e in grado di affrontare le sfide della complessità, dell’imprevedibilità, della relazione è oggi il miglior investimento, e questo lo sottolineano tutte le imprese moderne. Chiaramente occorre declinare tali interessi all’interno del mondo in cui viviamo e lungo le dorsali dei modelli produttivi dominanti. Così è evidente che l’elemento digitale oggi è sempre più pervasivo in tutti i settori e in tutti i lavori, da quelli più manuali a quelli che immaginiamo come puramente intellettuali. Ma se la tecnologia è uno strumento e non un fine allora si può utilizzare come tale.

Altro elemento è quello della qualità dei percorsi formativi. Se il valore di un percorso universitario non può ridursi alle nozioni trasferite, che possono diventare vecchie se tutte concentrate nell’essere iper-aggiornate, allora è la qualità della didattica, la qualità dei docenti, la qualità dei percorsi di placement, di rapporti con l’estero e con il mondo delle imprese che può risultare fondamentale. Se il mondo oggi è caratterizzato dalla complessità occorre scegliere università e facoltà che hanno scelto di confrontarsi con essa, in tutte le modalità attraverso le quali l’università può farlo. Conta di più un buon tirocinio serio, che fa incontrare il mondo del lavoro e dell’impresa, rispetto ad un corso sulle ultime tecnologie.

Francesco Seghezzi, Direttore Fondazione ADAPT

Adapt è una associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. Il nostro obiettivo è promuovere un modo nuovo di “fare Università”, costruendo stabili relazioni e avviando interscambi tra sedi della alta formazione, mondo associativo, istituzioni e imprese.