Il processo di formazione di una famiglia rappresenta uno dei passaggi cruciali che costituiscono la transizione all’età adulta.  In Italia, questo processo risulta posticipato rispetto a quanto accade nel resto d’Europa. Nel nostro Paese l’età media di uscita dalla casa dei genitori è pari a circa 30 anni: la conquista “ritardata” dell’autonomia fa slittare in avanti anche la formazione di una propria famiglia, ed eventualmente la scelta della maternità e paternità.

 

A sua volta, il rinvio reiterato del primo figlio riduce il tempo disponibile, aumentando così le probabilità di non avere figli per tutta la vita, o riducendo le possibilità che nascano secondogeniti e terzogeniti. Nel complesso, tutto questa fa sì che il nostro Paese si caratterizzi per un tasso molto basso di fecondità, addirittura fra i più bassi d’Europa. Dobbiamo dedurne che tra i giovani italiani si sta diffondendo una crescente disaffezione verso l’idea di diventare genitori?
In realtà, se guardiamo alle condizioni oggettive in cui si trovano a muoversi i Millennials italiani, troviamo un Paese in cui le istituzioni non sono state in grado di sostenere i giovani nel processo di acquisizione di autonomia, né li hanno supportati quando si è trattato di adattarsi ai cambiamenti del mondo del lavoro. Ancora oggi, inoltre, le politiche di welfare non riescono a far fronte a una situazione in cui sempre più donne lavorano.

 

Tale contesto risulta infine esasperato dalle conseguenze della crisi economica, che fra il 2008 e il 2014 ha determinato un periodo di recessione senza precedenti nella storia del dopoguerra. Oggi i giovani vivono spesso situazioni lavorative di grande precarietà, che frenano progetti e aspettative per il futuro.
Queste dinamiche, però, non si limitano a incidere sulla sfera privata e sui desideri di coppia, ma hanno importanti ricadute per tutta la società. Esse infatti accentuano il processo di invecchiamento della popolazione, e questo fa sì che l’Italia sia sempre meno competitiva anche in termini di mercato del lavoro.
Il Rapporto Giovani si prefigge di indagare le aspettative di fecondità in Italia e la percezione del nucleo familiare secondo i giovani europei. I temi della ricerca: Le aspettative di fecondità; Il confronto tra 2012 e 2015; La percezione della famiglia nei Paesi europei

Le aspettative di fecondità
Per questo approfondimento, è stato richiesto agli intervistati il numero di figli idealmente desiderato per l’intera vita, e successivamente è stato chiesto quanti figli ci si aspetta effettivamente di riuscire ad avere, tenendo conto del contesto. Le risposte mostrano una tendenza evidente: le preferenze relative al numero di figli idealmente desiderati superano quelle che tengono conto del contesto reale. In assenza di costrizione, oltre l’80% degli uomini e delle donne vorrebbe infatti una famiglia composta da due o più bambini. Tenendo conto di limiti e costrizioni, però, tale percentuale scende attorno al 60%. In media, gli intervistati vorrebbero avere in tutto più di due figli, ma alla luce delle condizioni si scende “realisticamente” a uno. Se poi si guarda a una prospettiva di breve periodo, solo il 20% degli uomini (contro il 30% delle donne) prevede di avere un figlio entro i prossimi tre anni. Di tale quota, solo il 30% dei rispondenti prevede di averlo entro i dodici mesi. Una delle variabili di maggior interesse nella scelta di avere figli è l’occupazione: il  possesso di un impiego mostra un impatto decisamente positivo, rispetto a chi è disoccupato o inoccupato. Un altro fattore influente è il titolo di studio: chi ha un titolo di studio elevato tende a essere maggiormente impegnato nella valorizzazione del proprio capitale umano nel mondo del lavoro, e questo porta a ridurre le intenzioni di fecondità nel brevissimo termine.

Il confronto tra 2012 e 2015
Se si guarda alle intenzioni di mettere al mondo un figlio nei prossimi tre anni, si denota un incremento delle risposte positive dal 2012 al 2015. (Sul brevissimo periodo di un anno, invece, non sono state registrate differenze). Il risultato va preso con una certa cautela, ma è possibile leggere la positiva intenzione di fare figli a tre anni come la conseguenza di un maggiore clima di fiducia, che porta a pensare di poter recuperare scelte congelate nel periodo di recessione.

La percezione della famiglia nei Paesi europei
È stata dedicata un’indagine ad hoc al modo in cui i giovani europei vivono e considerano l’ambiente familiare, confrontando i dati raccolti in Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito. Il primo ciclo di domande ha riguardato la rappresentazione della famiglia. Per quanto riguarda l’affermazione “la famiglia è semplicemente vivere insieme”, emerge una differenza statisticamente significativa tra i cinque Paesi considerati: in generale, la Germania è il Paese che riporta medie del “sì” più elevate, seguita dalla Francia. La Spagna riporta le medie più basse, seguita dalla Gran Bretagna. L’Italia si colloca in un posizione intermedia.
È stato poi considerato il ruolo della famiglia di origine come supporto nella vita del singolo. Rispetto all’affermazione “quanto ti ha aiutato la tua famiglia a stare bene con gli altri”, l’Italia si qualifica come il Paese con le medie di adesione più elevate, laddove i valori più bassi vanno attribuiti alla Spagna. Per quanto riguarda la capacità della famiglia di insegnare a rispettare le regole, le medie più elevate si registrano in Francia e in Italia, quelle più basse nel Regno Unito e in Spagna.
Infine, sono stati raccolti dei dati in merito all’influenza della famiglia di origine su alcune scelte di vita. Eccone alcune: il partito per cui votare (in cui le medie più basse si registrano fra i giovani spagnoli e le più alte nel Regno Unito); fare o meno volontariato (che vede in testa italiani e francesi); sposarsi o no (dove i meno influenzati sono francesi e spagnoli); il percorso di studio (che vede uno stacco netto fra gli italiani, i più influenzati dalla famiglia di origine, e gli altri Paesi UE); la fede in Dio (gli italiani si confermano quelli più legati all’ambiente di origine, e gli spagnoli i più autonomi); infine la carriera professionale, nella quale i più influenzati sono i giovani tedeschi.

 

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