I primi dieci anni del nuovo secolo sono stati indicati come il «decennio perduto» per l’Italia, per i bassi livelli di sviluppo e la crescita delle diseguaglianze. La crisi economica, iniziata nel 2008, ha peggiorato ulteriormente il quadro. Tutta la popolazione ne ha risentito, ma con maggior impatto sulle nuove generazioni.
In assenza di forti azioni di rilancio, il tempo necessario per riassorbire gli effetti negativi della crisi sull’occupazione potrebbe essere molto lungo in paesi come l’Italia e la Spagna (rispettivamente in 20 anni e 10 anni secondo stime dell’Fmi). Si pensi, come controesempio, che in Germania la disoccupazione è oggi a livelli ancor più bassi rispetto all’inizio della crisi internazionale.

I Neet
La percentuale in Italia di Neet (i giovani non in formazione e senza lavoro) è tra le più elevate  dell’Unione Europea dopo la Grecia. È salita nella nostra penisola, relativamente alle persone tra i 15 e i 29 anni, dal 19,3% del 2008 al 26,2% del 2014 (ultimo dato disponibile), mentre nell’Ue28, nello stesso periodo, è passata dal 13,0% al 15,4%.
Un dato che deriva dalla scarsa capacità di attivazione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro e dalla inadeguata valorizzazione del loro capitale umano nel nostro sistema produttivo. Risente anche di una fragilità di partenza nel processo formativo. Ci distinguiamo tra i paesi più avanzati, in particolare, per un elevato tasso di abbandono precoce degli studi (il 15% non va oltre la terza media contro il 11% Ue28) e per una bassa percentuale di laureati (per i 30-34enni, rispettivamente il 22,4% contro il 36,9%. Fonte: Istat 2015). Il tasso di occupazione dei laureati tra i 25 e i 34 anni è risultato pari al 62% nel 2014, 20 punti sotto la media del mondo sviluppato.
«Garanzia Giovani» e Jobs Act
Il piano più importante degli ultimi decenni a favore dell’occupazione giovanile finanziato dall’Unione Europea, sta ottenendo risultati molto più modesti rispetto alle aspettative. Partito a maggio 2014, dopo oltre un anno e mezzo di attività, «Garanzia Giovani» è riuscito a raggiungere solo un terzo dell’intera platea dei Neet e ad offrire una concreta misura (formazione o lavoro) a meno di un Neet su 10.
Non certo i dati di un insuccesso, ma sicuramente troppo poco per una vera svolta nelle politiche di attivazione delle nuove generazioni. La sfida rimane aperta, soprattutto sul versante del potenziamento del sistema dei servizi per l’impiego, con la costituzione dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal).
Timidi e contrastanti sono stati anche i primi effetti del Jobs Act. I valori forniti dall’Istat, relativi agli ultimi mesi del 2015, sembrano però più incoraggianti sia sull’aumento degli occupati sia sulla stabilità contrattuale. Anche i dati più recenti continuano però ad essere meno favorevoli per i giovani, soprattutto se oltre ai disoccupati si considera l’enorme componente degli inattivi scoraggiati.
La povertà continua a colpire in modo più accentuato l’infanzia e i giovani. Particolarmente alta è l’incidenza della deprivazione materiale per le famiglie con più di due figli minori e per le famiglie con genitori under 35 [Fonte: Istat, La povertà in Italia. Anno 2014, 2014; Save the Children, Atlante dell’infanzia 2015].

Lavoro e tasso di fecondità
Limiti strutturali e culturali costituiscono un mix di fattori che influenzano in modo depressivo la realizzazione  di solide scelte di vita. In Italia meno del 12% dei giovani vive in un’unione di coppia tra i 16 e i 29 anni, un valore che è la metà rispetto alla media europea. Di conseguenza siamo diventati, assieme alla Spagna, il paese con più bassa fecondità realizzata prima dei 30 anni (Fonte: dati Eurostat, anno 2013). Non a caso il numero delle nascite ha toccato negli ultimi anni livelli negativi record per la storia del paese (da oltre un milione a metà anni Sessanta a meno di mezzo milione nel 2015, compreso il contributo degli stranieri).
Il 2015 è però anche l’anno in cui i segnali di ripresa e di fiducia di miglioramento della qualità della vita sono diventati evidenti. Gli indicatori Ipsos sul clima del paese, segnalano una rilevante riduzione di chi crede che il peggio debba ancora arrivare (dal 50% del secondo semestre del 2014 al 37% del secondo 2015). Le aspettative di fecondità del panel del Rapporto Giovani 2016 (oltre 9.000 giovani) in un orizzonte  brevissimo (un anno dall’intervista) e breve periodo (tre anni dall’intervista), confrontate con quelle emerse dall’indagine condotta nel 2012, sempre su circa 9.000 giovani, sono, seppur solo per l’orizzonte temporale meno immediato (tre anni dal momento dell’intervista), in favore dell’ipotesi che con l’uscita dalla crisi si possa avere un effetto positivo nel rialzo atteso della fecondità. La propensione ad avere un figlio risulta infatti migliorata nel 2015 rispetto al 2012.

 

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