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di Francesco Mattana

Io sto con la sposa è un film davvero unico nel suo genere. Racconta di un poeta palestinese siriano e di un giornalista italiano col cuore grande, che due anni fa decisero di aiutare cinque palestinesi e siriani in fuga dalla guerra a proseguire il loro viaggio clandestino, da Milano verso la Svezia. Bisognava però trovare una soluzione per non venire arrestati come contrabbandieri. Con buona dose di fantasia inscenarono un finto matrimonio, perché nessun poliziotto di frontiera avrebbe mai trovato il coraggio di chiedere i documenti a una donna con l’abito nuziale. Una volta individuati i coraggiosi disposti a vestire i panni della sposa e degli invitati al matrimonio, cominciò una lunga, rocambolesca peregrinazione per l’Europa, un “viaggio in maschera” lungo quattro giorni e tremila chilometri.

Una follia, forse, ma orchestrata a fin di bene. Viceversa, il comportamento delle istituzioni europee che negano l’accoglienza ai migranti in cerca di pace è, secondo i protagonisti di questo stravagante road movie, una follia pericolosissima.

Era richiesta una bella dose di intraprendenza per coinvolgersi in un’avventura simile. Ma la fortuna, come è noto, aiuta gli audaci; dunque, non solo la missione è andata a buon fine, ma anche la campagna di raccolta fondi per finanziare le spese di produzione della pellicola si è rivelata un successo, al di sopra di qualunque più rosea aspettativa. Grazie alla generosità dei tanti benefattori Io sto con la sposa è uscito regolarmente nelle sale e ha ottenuto anche un discreto successo. Ma soprattutto ha trovato accoglienza alla Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti, riscuotendo la simpatia e l’ammirazione degli spettatori della prestigiosa rassegna cinematografica.

Una grande soddisfazione per gli autori Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry e Antonio Augugliaro. Gabriele Del Grande e Antonio Augulgiaro, ospiti in Cattolica lo scorso 15 maggio nella giornata conclusiva del Concorso per le scuole VirtùALmente, hanno raccontato la genesi e l’evoluzione del film a una platea incuriosita di studenti delle superiori. Ma soprattutto, ci tenevano a mostrare le potenzialità enormi del crowdfunding, che loro hanno saputo sfruttare nel migliore dei modi.

Abbiamo intervistato Augugliaro, per approfondire alcuni aspetti non emersi nel corso della chiacchierata coi ragazzi. A differenza di Khaled Soliman Al Nassiry – poeta, scrittore e grafico – e Gabriele Del Grande– giornalista, la cui attività principale è legata al blog Fortress Europe, in cui raccoglie e cataloga tutti gli eventi riguardanti le morti e i naufragi dei migranti africani nel  Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa – Antonio Augugliaro fa il regista di professione, ed è molto attivo sulla scena cinematografica indipendente milanese.

“Io sto con la sposa” è un film originale, ma ancor più particolare è stata l’idea di aggirare i controlli simulando un finto matrimonio. Nel corso della lunga traversata fino alla Svezia tra di voi ha prevalso la paura o l’entusiasmo?
Don Lorenzo Milani diceva che l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. Conformemente agli insegnamenti del sacerdote di Barbiana, abbiamo deciso di rispondere alla nostra legge morale prima che alle regole canonizzate dal diritto. Certo, è stato un rischio. Ma qual è il pericolo più grande? Finire in prigione per una norma ingiusta o rimanere immobili davanti all’erosione della dignità di esseri umani? “Io sto con la sposa” è un film che nasce prima di tutto come atto di disobbedienza civile verso quel sistema che governa in Europa il flusso delle migrazioni, che decide chi può entrare oppure no in un territorio. In fondo i legislatori possono sbagliare, è la storia che ce lo insegna, basti pensare alle leggi razziali o al divieto di voto per le donne. Prima dell’introduzione dei visti nell’88 e dei flussi migratori, la gente si spostava liberamente e legalmente tra l’Africa e l’Europa. Nessun morto. Nessun contrabbandiere. Nessuna speculazione politica su presunte invasioni. Oggi invece, anche chi prova a scappare da una guerra tremenda come quella siriana deve faticare per essere accolto nel Vecchio Continente. Questo sistema ha generato più di 20.000 morti nel Mediterraneo dall’88 ad oggi (fonte Fortress Europe), tutte persone alle quali è stato negato il visto per un ingresso regolare in Europa. La sensazione è di trovarsi davanti ad un bollettino di guerra e non ai risultati di una normativa giusta e legittima. Quale legge può davvero impedire la mobilità di un individuo? Lo abbiamo visto in questi anni. Le persone viaggiano comunque, sfidando le situazioni più avverse e pericolose pur di tentare la via della salvezza.

La realizzazione di questa pellicola ti ha consentito di conoscere l’Europa delle istituzioni e della gente comune. Secondo te i cittadini europei, in linea generale, mostrano un atteggiamento favorevole od ostile nei confronti dei migranti?
Durante il viaggio tra Milano e Stoccolma abbiamo incontrato molti cittadini europei che hanno offerto il loro piccolo aiuto affinché la nostra impresa riuscisse al meglio. Qualcuno ci ha ospitato nella propria casa, qualcun altro ci ha offerto da mangiare e qualcun altro ancora ha indicato la strada migliore da percorrere. Nessuno di loro aveva un atteggiamento ostile nei confronti delle persone che portavamo con noi e che erano in fuga dalla guerra. La mia comunque, va detto, è stata sicuramente una visione parziale. L’Europa è grande e purtroppo non tutti percepiscono il fenomeno migratorio come un’opportunità, in tanti lo vivono piuttosto come una minaccia. Qualche volta mi è capitato di parlare con qualcuno che non la pensa come me in materia di migrazione, ma in quei casi mi sono reso conto che la loro posizione non era politica. E nemmeno razzista. Piuttosto, il risultato di una profonda incompetenza sull’argomento, di una mancanza totale di curiosità e voglia di approfondire. Come sempre accade, l’ignoranza porta con sé la paura. E la paura genera a sua volta le reazioni più sconclusionate. Per quanto riguarda le istituzioni, invece, non credo ci siano scusanti. In tutti questi anni l’Europa ha semplicemente girato la faccia dall’altra parte, generando grandi diseguaglianze e malessere sociale.

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Questo viaggio è stato senz’altro un’esperienza di crescita fondamentale. Dicci qual è il regalo più grande che hai ricevuto dai protagonisti di questa storia, l’eredità morale di cui sempre farai tesoro d’ora in poi.
La cosa che più mi è rimasta è la bellezza delle persone, dei cinque palestinesi e siriani che abbiamo portato in Svezia, degli amici che ci hanno supportato in questa folle avventura. E di tutti quelli che ci hanno aperto le loro case, ospitandoci per una notte anche se non ci avevano mai visti prima. Nel nostro film mostriamo come sarebbe bello il mondo se non ci fossero disuguaglianze, se fossimo tutti solidali. In fondo la bellezza è l’unico antidoto contro il male.

Ti ha stupito la risposta consistente che avete ottenuto col “crowdfunding”? Qual è la motivazione, secondo te, che ha spinto tante persone diverse a finanziare il vostro progetto?
Quando decidemmo di avviare una raccolta fondi online, nessuno di noi ci sperava veramente. Sapevamo degli altri progetti italiani che avevano raccolto cifre molto basse: cinquemila, massimo diecimila euro. Invece per noi, fortunatamente, le cose sono andate diversamente. Durante la prima settimana di crowdfunding raccogliemmo già quasi 10.000 euro. Per noi è stata una sorpresa incredibile oltre che una gioia immensa, sia perché siamo riusciti in questo modo a pagare tutti i nostri collaboratori e sia perché abbiamo creato una grande comunità in rete e nel mondo reale che la pensa come noi in tema di diritto di asilo e migrazione. Il motivo esatto per cui il nostro progetto ha affascinato un pubblico così ampio non lo saprei individuare con precisione. Secondo me in gioco ci sono tanti elementi. La bellezza della nostra storia innanzitutto, un racconto positivo e gioioso capace di far sognare. Alla fine del film, una volta  usciti dalla sala cinematografica, gli spettatori non rimangono pervasi da una sensazione di oppressione e impotenza, bensì vengono presi dalla voglia di fare qualcosa, e maturano la consapevolezza che per cambiare il mondo bisogna prima di tutto cambiare noi stessi. Sono molte le persone che dopo aver visto “Io sto con la sposa” hanno deciso di attivarsi nel loro piccolo. Qualcuno ha fatto un gruppo su Facebook organizzando una prima accoglienza “cittadina” rivolta a quelle persone che arrivano in Stazione Centrale a Milano e vi soggiornano per qualche tempo (My land my people per esempio), oppure qualcun altro ha organizzato dei flash mob utilizzando l’abito nuziale come metafora di un mondo più giusto. Sostenere la nostra pellicola per molti ha significato la realizzazione di un sogno, quello di un’Europa più solidale e più giusta nei confronti di tutte quelle persone che fuggono dalle emergenze del loro Paese.

Cosa bolle in pentola dopo “Io sto con la sposa”? Lo consideri un punto di partenza per altri progetti artistici in cui potrai mettere a frutto la tua sensibilità verso il sociale?
È difficile per me parlare di progetti futuri in questo momento, perché “Io sto con la sposa” mi richiede ancora molti sforzi. Sta partendo un grande tour all’estero, dove il film sta già raccogliendo molti consensi. Stiamo anche preparando l’uscita del dvd che dovrebbe avvenire a ottobre. A dire il vero i progetti non mancano, ma per ora rimangono sulla carta in attesa di tempi più calmi.