Il settimanale “L’Espresso”, nella versione online, ha dedicato un articolo ai dati emersi dal Rapporto Giovani, l’indagine condotta dall’Istituto Toniolo su 9000 giovani dai 18 ai 29 anni, in particolare per quanto riguarda l’occupazione giovanile.  Ecco il testo pubblicato dal periodico diretto da Bruno Manfellotto:

 

Laureati, ma puliscono i cessi

 

Centodieci e lode e una ramazza in mano, impiegati in una ditta di pulizie, nel catering, o in qualsiasi altra azienda di servizi. Non esistono più i bamboccioni di una volta. Sono scomparsi anche i famosi “choosy”. O forse non sono mai esistiti. A confermarlo – se mai ci fossero stati dubbi – due studi che fotografano la loro buona volontà e la capacità di adattamento alla crisi e alle difficoltà economiche. Si tratta del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo di Milano – che ha fotografato la condizione dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni, un’età cruciale in cui chi esce dalle scuole superiori o dall’università si affaccia sul mondo del lavoro – e dell’ultima rilevazione di Confartigianato sull’imprenditoria giovanile.

 

I genitori veri ammortizzatori sociali. I ricercatori del Toniolo hanno intervistato novemila under 30 e i risultati sono ben diversi dalla percezione “politica” sdoganata – con eccessiva superficialità – da parlamentari e ministri. Secondo lo studio, infatti, la crisi influisce in modo pesante sulla qualità della vita dei ragazzi che, a livello europeo, vedono compromesse le loro prospettive per un futuro autosufficiente dalle famiglie, vero ammortizzatore sociale di questo Paese: lasciano la casa dei genitori e fanno figli più tardi degli altri.

 

Un giovane su quattro accetta tutto. A differenza di quanto potrebbe rispondere un bamboccione con il vizietto dell’essere “choosy”, però, per l’88% degli intervistati il lavoro è l’unico modo per costruirsi una famiglia e assicurarsi un’autonomia. Ma è proprio l’indipendenza un “bene” di difficile realizzazione, quasi un lusso. E’ per questo che un giovane su quattro – spiegano i ricercatori – ormai accetterebbe anche un impiego ben lontano dal lavoro desiderato. E al Sud il rapporto sale ad uno su tre. Un dato che smentisce le tante affermazioni fin troppo superficiali smerciate dalla politica nazionale e dà la tara di una disillusione sempre più incancrenita, tale per cui solo il 17% degli intervistati si dice soddisfatto del proprio lavoro.

 

Retribuzione uguale frustrazione. E tra stage sottopagati – che a dispetto del nome divengono un vero e proprio lavoro – e impieghi di fortuna, il principale motivo di frustrazione che emerge dal rapporto è legato alla retribuzione, inadeguata per il 47% degli intervistati: in pratica un giovane su due accetta di lavorare per uno stipendio che considera insufficiente e non rispondente alle prestazioni professionali erogate. Le briciole sempre meglio che niente.

 

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