Maurizio Molinari, corrispondente da New York per il quotidiano torinese La Stampa, sul suo blog “Finestra sull’America” traccia un profilo dei Millenials statunitensi.

Ecco il testo dell’articolo:

 

Negli Stati Uniti sono 80 milioni, sono ossessionati dal successo e dal narcisismo, si considerano dei “brand” che misurano sul numero di “followers” o “friends” che hanno sui socialnetwork, è più probabile che convivano con i genitori che con un partner e non vogliono rovesciare il potere perché sentono, in fin dei conti, di non averne alcun bisogno.

E’ il ritratto dei “Millennials” che emerge da un’inchiesta del magazine Time, che ha scelto di dedicare la copertina alla generazione di coloro che sono nati fra il 1980 ed il 2000 optando per il titolo “Me Me Me generation” al fine di sottolineare quanto si tratti di giovani che guardano a tal punto a se stessi da non sentire di aver bisogno di nessun altro.

 

Sociologi, psicologi e analisti di varie discipline sociali li descrivono come i figli dei baby-boomers degli anni Sessanta con la differenza che “i genitori guardavano sempre una loro foto in casa, in divisa o del matrimonio, mentre loro ne hanno 85 sul telefonino, e le guardano in continuazione”. Se la rivoluzione industriale consentì ai singoli di assumere maggiore coscienza delle proprie capacità, riuscendo a creare aziende private o a trasferirsi dalle campagne in città, i “Millennials” si sentono onnipotenti grazie ad una tecnologia cresciuta assieme a loro che gli consente di competere contro tutto e tutti: gli hackers riescono a sfidare le corporations, i bloggers affondano i giornali, i terroristi tengono in scacco i maggiori Stati-nazione, i video su YouTube condizionano i registi di Hollywood e chi crea le application si impone nell’industria.

 

In breve, i “Millennials” sentono di non aver bisogno delle generazioni precedenti ed è per questo che incutono timore. Al tempo stesso però l’eccesso di autostima e il narcisismo li portano a scontrarsi con la realtà di un mercato che non sempre li premia come vorrebbero. La conseguenza è nel fatto che il 70 per cento di loro controlla il cellulare ogni ora, molti soffrono la sindrome da vibrazioni – ovvero se nessuno gli scrive o li chiama vanno in agitazione – e si identificano sempre più in identità-brand, misurate sul numero di “followers” che hanno su Twitter o di “friends” accumulati su Facebook. Roy Baumeister, docente di psicologia dell’Università della Florida, ritiene che i “Millennials” siano il frutto della combinazione fra l’imprevedibile sviluppo della tecnologia e la scelta dei baby-boomers di allevare i figli con il più alto senso di autostima: “Sono cresciuti nella convinzione di diventare tutti principesse o rock star” e gli smartphone gli consentono di continuare il sogno.

 

Resta l’interrogativo di cosa avverrà a coloro che non riusciranno, per una ragione o per l’altra, a coronarlo.