di Serena Carta

In Italia 7 milioni di under 35 vivono a casa con i genitori. Ma cosa succede nel resto del mondo?

 

Un’italiana, una slovacca, un inglese, un’indiana, una brasiliana, un tedesco, una svedese e una francese. Il più giovane ha 27 anni, i più “vecchi” sono poco più che 30enni. Le loro vite si sono incrociate in Europa per via di uno stage post laurea che per alcuni è diventato un lavoro, per altri  un nuovo stage, per altri ancora è stata semplicemente l’occasione per dare una svolta alla propria vita. Seduti intorno al tavolo, a sorseggiare una birra e a passare dall’inglese al francese e poi di nuovo all’inglese, si sentono simili, parte di una stessa grande famiglia, in questo continente multiculturale che li ha accolti e che, in un modo o nell’altro, gli dà da vivere. Abitano tutti quanti da soli. C’è chi sta in collocation, chi convive col partner e ha un figlio, chi abita per conto proprio in un monolocale. C’è persino qualcuno che ha già alle spalle un divorzio.

 

L’inglese se n’è andato di casa a 18 anni: «Da quel momento non sono mai più tornato a vivere con i miei (vacanze a parte). Fino a 10 anni fa in Gran Bretagna venivi considerato un vero e proprio ‘sfigato’ se a 22 anni stavi ancora a casa con i genitori! Era un po’ come dimostrare al mondo che non eri in in grado di guadagnarti il pane. D’altronde è tipico della cultura britannica: finire le scuole superiori e andare all’università equivale a lasciare il nido. Oggi le cose stanno un po’ cambiando, per via della crisi: i giovani sono tutti sulla stessa barca e quindi non è più fonte di imbarazzo continuare a vivere con la propria famiglia, anche durante l’università. In fondo, con tutte queste internship non retribuite, qual è l’alternativa?». Anche in Germania, in Svezia e in Francia si tende ad andare via dalla casa dei genitori abbastanza presto, tra i 18 e i 22 anni. «Dai 16 in poi la vita a casa dei miei era diventata insopportabile e io avevo un solo desiderio: andarmene via!» esclama la francese. E la crisi? Non pervenuta. Oltreoceano, invece, le cose vanno diversamente: «In Brasile dipende dalla regione in cui vivi e dalla classe sociale di provenienza. Nel Nord la maggioranza dei giovani vive con i genitori fino a che non si sposa. Si lascia la casa natale solo se si trova un lavoro in un’altra città o se la famiglia ha i soldi per mandarti a studiare altrove. E anche se sei uno studente lavoratore, è raro che tu riesca a cavartela con quel poco che guadagni. Tra le famiglie più povere, invece, è normale restare con la famiglia anche dopo il matrimonio. Al Sud sono abituati ad andare via di casa prima, forse per la vicinanza di grandi città come Rio o San Paolo. Comunque, in generale, è una questione economica e culturale: te ne vai quando hai soldi per mantenerti (la crisi non centra, il Brasile sta andando piuttosto bene) e non c’è niente di male a rimanere in casa anche dopo i 30 anni. Adesso che ci penso… sapete chi abbandona la tana? I figli dei divorziati: hanno diritto a un sussidio da parte di uno dei genitori e così riescono a pagarsi l’affitto».

Anche in India non c’è da vergognarsi a rimanere con la famiglia. Qui l’andarsene di casa non sembra essere una priorità per la gioventù: «Se si studia e lavora nella stessa città, è normale vivere in casa dei propri genitori anche quando si è già sposati». In Slovacchia, infine, la situazione è molto simile a quella italiana: «Oggi i giovani vivono insieme ai loro genitori a lungo. Di solito ci restano per tutto il periodo degli studi, fino a che non si trovano un lavoro o si creano una loro famiglia. Secondo statistiche recenti, quasi il 60% dei giovani slovacchi tra i 25 e i 34 vive in casa. Forse si tratta di dati non accurati perché, come anche nel mio caso, molti di noi pur vivendo all’estero risultano ancora residenti nella casa dei genitori. In ogni caso, il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato e, data la situazione di incertezza odierna, anche chi ha un lavoro a tempo pieno preferisce risparmiare i soldi dell’affitto e continuare a vivere in casa».

Da questo affresco, cultura ed economia sembrano dunque essere i due fattori che determinano il destino abitativo dei giovani nel mondo. La particolarità è che gli stati laddove “l’emancipazione casalinga” è più affermata sono gli stessi che prevedono incentivi finanziari all’indipendenza. In Gran Bretagna esiste per esempio la housing allowance, un contributo mensile che copre parte dell’affitto, anche se «se è la tua unica fonte di reddito non riesci a pagarti un appartamento da solo: per questo la maggior parte degli studenti e dei giovani convivono». Simile è la situazione in Francia, dove la CAF (Caisses d’Allocations Familiales) versa aiuti finanziari ai cittadini di reddito medio-basso, quindi anche agli studenti e ai giovani lavoratori, che farebbero fatica a coprire i costi dell’affitto. In Germania «il supporto statale dipende da quello che fai quando te ne vai di casa. Se sei studente e i tuoi genitori hanno un reddito basso, allora ricevi un prestito (Bafög) il cui 50% sarà da restituire alla fine degli studi. Se sei disoccupato, il governo dovrebbe darti un sussidio di 350 euro e aiutarti con l’affitto (in totale hai diritto a ricevere circa 700 euro); se però hai meno di 25 anni, sei tenuto a vivere con la famiglia. Infine, se sei studente e vieni da una famiglia benestante, questa è obbligata per legge a mantenerti fino ai 25 anni, che tu viva o no in casa». La Svezia, dal canto suo, supporta gli studenti con sussidi o prestiti: «Un dato importante che bisogna tenere a mente è che la maggioranza degli studenti, già dalle scuole superiori, lavora durante gli studi. Questo permette loro di essere indipendenti economicamente sin da giovanissimi». Anche in Slovacchia i più giovani hanno diritto a un aiuto statale, tramite un programma che permette di acquistare una casa con un’ipoteca, pagandola a rate con tassi agevolati.

E in Italia? A parte iniziative locali di natura pubblica o privata – come la recente Vivo al venti torinese, promossa dal Fondo Abitare Sostenibile Piemonte (FASP), un fondo immobiliare etico nel quale confluiscono risorse provenienti dal patrimonio di diverse fondazioni bancarie piemontesi – il sostegno all’autonomia giovanile non sembra essere una priorità. E allora non stupiamoci quando l’ISTAT ci dice che oltre il 60% degli under 35 vive ancora con mammà; non chiamiamoli però neanche bamboccioni perché, a differenza dei coetanei nel mondo, molto spesso l’alternativa, loro, se la devono trovare da sé.