© Ron Bennetts / CC BY-ND 2.0
© Ron Bennetts / CC BY-ND 2.0

“Viva la felicità, chi la cerca non ce l’ha”: è il ritornello della canzone del Signor Rossi, personaggio animato creato da Bruno Bozzetto negli anni sessanta. Da allora sono trascorsi parecchi decenni, ma per i nostri connazionali – e il Signor Rossi era, appunto, il prototipo dell’italiano medio – la felicità continua ad essere un traguardo impegnativo da raggiungere. La conferma arriva da una ricerca di Eurostat pubblicata il 19 marzo scorso, alla vigilia della Giornata internazionale della Felicità, istituita dall’Onu il 20 marzo (i dati della ricerca sono relativi all’anno 2013).

Alla domanda specifica “Da 0 a 10 che voto daresti alla qualità della vita nel tuo Paese”, posta agli abitanti dei 28 Paesi dell’Ue, gli italiani hanno risposto che no, l’entusiasmo proprio non è di casa alle nostre latitudini.

La media nazionale di felicità supera di poco la sufficienza (6.7 decimi).

I più felici di tutti sono i danesi, gli svedesi e i finlandesi, tutti a quota 8. Seguono olandesi e austriaci (7,8 punti), belgi (7,6), lussemburghesi (7,5), irlandesi (7,4), tedeschi, britannici e polacchi (7,3), rumeni (7,2), maltesi (7,1). L’indice di soddisfazione personale di questi cittadini è superiore alla media Ue di 7.1.

I nostri “cugini” francesi sembra che godano di un umore leggermente superiore al nostro (7.0). Se i risultati della ricerca fossero del tutto veritieri, dovremmo definitivamente mettere in cantina la celebre frase di Cocteau, “I francesi sono degli italiani di cattivo umore”.

Ma c’è anche chi sta peggio di noi: portoghesi, greci, ciprioti e ungheresi raggiungono appena 6,2 punti. I bulgari poi, coi loro 4,8 punti, sono ultimi nella graduatoria.

La Giornata della Felicità è soprattutto un’occasione per riflettere sulla Felicità interna lorda, che viene misurata considerando questi parametri: qualità dell’aria, salute dei cittadini, istruzione, ricchezza dei rapporti sociali. La novità degli ultimi anni è che sempre più Paesi stanno prendendo coscienza che il Fil è più importante del Pil.

Sembra insomma che il Diritto alla felicità, di cui parlava la Dichiarazione d’Indipendenza americana nel 1776, stia diventando un tema in agenda nei summit internazionali. Non è tanto, certo, ma a pensarci non è nemmeno poco.

Francesco Mattana