di Alessandro Rosina

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Siamo pieni di luoghi comuni sui giovani perché li conosciamo poco e forse anche loro stessi non hanno ancora ben chiaro cosa vogliono e possono fare come persone e come generazione. Quello che è certo è che sono molto insoddisfatti e disillusi. Ma sicuramente non rassegnati, pronti anzi ad entrare in campo ben motivati se solo intravedono spazi e opportunità. Alcuni dati utili per capire la realtà delle nuove generazioni sono offerti da una recente indagine realizzata dall’Istituto Toniolo tramite l’ISPOS arrivata ad intervistare 9000 giovani nel corso del 2012.

 

I temi trattati sono molto ampi e toccano gli aspetti principali della condizione dei giovani, dei loro valori e atteggiamenti oltre che dei progetti di vita. Gli intervistati, tra i 18 e i 29 anni, verranno inoltre seguiti per almeno 5 anni e sarà quindi possibile analizzare le loro scelte formative, lavorative e di conquista di una propria autonomia. I primi risultati, pubblicati su www.rapportogiovani.it, già aiutano a superare alcuni stereotipi. Ad esempio sono ben consapevoli della difficoltà del periodo di crisi e delle ridotte opportunità che offre il mercato del lavoro. Una larga parte reagisce adattandosi al meglio, accettando, pur di non rimanere inoperosi, anche lavori sensibilmente sotto le aspettative. Un under 30 su quattro di dichiara per nulla soddisfatto dell’attuale impiego e solo uno su cinque lo considera pienamente appagante. Circa la metà considera comunque inadeguato lo stipendio che percepisce e per oltre l’45% dei casi il lavoro accettato non è direttamente coerente con il proprio percorso di studi. Non si può quindi dire che lo spirito di adattamento manchi, quantomeno in larga parte di chi cerca comunque di mettersi in gioco. Nonostante le difficoltà, la progettualità e la voglia di realizzarsi dal punto di vista professionale e familiare rimangono alte. Oltre l’80% dei giovani cerca nel lavoro un’opportunità di realizzazione e di indipendenza. Inoltre sono pochi quelli che desiderano avere solo un figlio o meno, mentre la stragrande maggioranza preferirebbe averne due o più. Questo significa che se le nuove generazione fossero messe nelle condizioni, attraverso politiche adeguate maggiormente presenti in altri paesi, di realizzare i propri obiettivi riproduttivi, non avremmo in Italia un problema di denatalità.
Anche sul lato del rapporto con la politica e della partecipazione i risultati non sono scontati. Nel questionario dell’indagine è stato chiesto di dare un voto da uno a dieci alle varie istituzioni. Ne è uscita una bocciatura molto netta, chiaro segnale di un senso di sfiducia generalizzato. I limiti di un paese che non crescere pesano infatti ancor più sulle nuove generazioni rispetto al resto della popolazione, compromettendo non solo il benessere presente ma anche le opportunità future. Il voto verso la classe dirigente non può quindi che essere negativo, sia perché non è stata in grado di valorizzare al meglio risorse e potenzialità che il paese ha, sprecando soprattutto il talento e la voglia di fare dei giovani, ma anche per l’arroganza e l’indisponibilità a rimettersi in discussione e a rinnovarsi.
A fare le spese di questa caduta verticale di credibilità sono soprattutto i partiti. La percentuale di chi ha dato ad essi un voto positivo (maggiore o uguale a 6) è appena pari al 6%. Solo un po’ più alto il consenso verso il Governo (17%), che anche per età anagrafica non è sentito vicino alla realtà delle nuove generazioni. La soluzione non può certo arrivare da un ritorno al passato. I giovani, soprattutto, non si accontentano più di parole e di politiche annunciate, ma, troppo scottati e delusi dall’inadempienza dei governi passati, vogliono toccare con mano risultati e benefici. Delusi e scontenti, quindi, ma non remissivi e rassegnati. Risulta anzi elevata la voglia di esserci e di contare. Il loro consenso sale verso istituzioni e figure sentite più vicine, con le quali è maggiore la possibilità di coinvolgimento e di interazione.
Più che antipolitica emerge una forte domanda di buona politica. Una politica davvero orientata al bene comune, che torni a considerare le nuove generazioni come la ricchezza più importante di un paese e il loro futuro come la principale priorità su cui investire. Ma che dia anche spazi e opportunità ai giovani stessi per poter concretamente far la differenza tra le condizioni di partenza che hanno ereditato e la costruzione di un paese meglio in grado di interpretare e vincere le grandi sfide del loro secolo. Perché questo avvenga è necessario che i giovani possano migliorare la qualità delle propria formazione e trovare possibilità di emergere in un contesto nel quale non dominino nepotismo e cooptazione, ma sia consentito a ciascuno di mettersi in gioco con le proprie capacità e la propria voglia di fare.

 

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