di Alessandro Rosina

Linkiesta

 

E’ ora che i giovani tornino all’attacco in questo paese.  Sinora sono rimasti passivamente a subire lo scadimento delle opportunità e  delle proprie condizioni di vita, difendendosi dall’eccessivo impoverimento  grazie all’aiuto della famiglia di origine. Le nuove generazioni  italiane non sono protagoniste, ma solo argomento di preoccupazione per  i genitori e di discussione nel dibattito pubblico. Si parla di loro, ma dove le  cose si decidono e accadono non ci sono. Rendere i giovani attivi e  intraprendenti è la cosa che peggio ci è riuscita negli ultimi anni e  il record di under 30 che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet) è il  più evidente risultato di decenni di politiche inefficaci nei confronti  dell’occupazione giovanile. Cos’altro deve succedere per capirlo e per  convincerci a mutare completamente rotta? Noi continuiamo a pensare che  il problema sia quello di trovare una qualche occupazione ai giovani, anziché  mettere le nuove generazioni al centro di un solido progetto di crescita in  sintonia con le potenzialità del paese. Detto in altre parole, ridurre  di per sé la disoccupazione serve a poco se non si creano opportunità  vere. Supponiamo che l’obiettivo sia di dimezzare la disoccupazione  giovanile attuale. Questo significa riportarla al 20%, che era il livello  pre-crisi. Non certo un successo visto che in tale periodo l’Italia arrancava  rispetto al resto d’Europa con le nuove generazioni lasciate ai margini (si veda  ad esempio: “Com’è difficile essere giovani in Italia”, scritto nel  2006!). L’errore in cui continuiamo a cadere, governo compreso, è  quello di pensare all’occupazione dei giovani come “emergenza” mentre è  una “persistenza” (e come tale va “aggredita”, ministro Giovannini). E’ vero che  la crisi ha colpito di più i giovani, ma è altrettano vero che non è  stata la crisi ad escludere le nuove generazioni dai processi decisionali e di  sviluppo dell’Italia. L’obiettivo che tutti – il Governo in primis  – dovremmo porci come priorità è quello di intraprendere un percorso di crescita  con alla base un circuito virtuoso di mutuo stimolo tra valorizzazione della  capacità di fare e innovare dei giovani, da un lato, e sviluppo economico e  sociale, dall’altro. Nulla di tutto questo si è visto da quando siamo entrati  nel XXI secolo e nulla di solido e coerente in questa direzione sembra sia stato  messo in cantiere. L’unica cosa che è cambiata è stato lo spirito di  adattamento dei giovani stessi. Consapevoli che il rischio di rimanere  a lungo inattivi lo pagheranno salato nei prossimi anni, hanno deciso di  accontentarsi e di ritarare al ribasso le proprie aspettative. Secondo i  dati di una recente indagine (www.rapportogiovani.it): oltre l’80% svolge un lavoro  che non considera pienamente soddisfacente; un giovane su due si  accontenta di un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera  adeguato; una quota molto alta, pari al 47% si adatta a svolgere un’attività che  considera non del tutto coerente con il proprio percorso di  studi. Pur di non rimanere in panchina i giovani hanno deciso di  giocare in difesa, anche quando avrebbero tutti i numeri per giocare in  attacco e far vincere la squadra. Ma i ruoli più avanzati sono  difficilmente accessibili: sia perché chi li occupa non si rimette in  discussione, sia per il tipo di modulo adottato dal sistema Italia (più chiuso a  catenaccio nella propria metà campo che proiettato in avanti). Se è  questo quanto questo paese continua ad offrire, le nuove generazioni devono però  decidere se accettareun ruolo arretrato o rivoluzionare gli schemi.  Nulla di facile e di scontato, ma l’alternativa è rassegnarsi a giocare male in  una squadra che cerca solo di non perdere troppo e non incassare troppi gol.

L’alternativa, sempre più presa in considerazione, è un futuro  altrove. E finirà così che giovani italiani vincenti continueranno ad  esserci, ma giocheranno nelle nazionali dei paesi concorrenti. Fuor di metafora,  fra non molti anni potrà allora diventare del tutto normale acquistare  dall’estero beni e servizi innovativi ideati da giovani italiani  espatriati. E’ questo il futuro che ci meritiamo? Forse si. Ed è senz’altro quello che accadrà se il Governo italiano continuerà a pensare  ai giovani solo come ad una emergenza.